Ministro Foti: "Il RearmEurope? Cambiato con la linea italiana"
22 marzo 2025
(intervista di Avvenire al Ministro Tommaso Foti)
"Quel piano di riarmo europeo europeo esisteva solo nei numeri e l'Italia può dirsi soddisfatta se ora si parla, invece, di una rimodulazione dei nostri sistemi di difesa, cosa molto diversa». Il ministro degli Affari europei, Tommaso Foti, rivendica come un successo italiano l'esito del Consiglio Europeo. Ne fa anche un problema di priorità e tenuta dei bilanci dei singoli Stati. Vale soprattutto per l'Italia: "Investire nella difesa, fuori dal Patto di stabilità europeo, significa non dover tagliare sui servizi essenziali e sulla sanità", rimarca.
Un successo personale di Giorgia Meloni, quindi?
È nei fatti. Occuparsi della difesa dell'Europa è cosa molto diversa da un piano di riarmo. Significa difesa dei confini Ue, lotta al terrorismo, investire sulla cybersicurezza (fondamentale nell'era dell' IA), tutelare anche i fondali marini dove passano i nostri dati.
E dell'attività di peacekeeping, per evitare che la pace sia una spartizione fra superpotenze ai danni dell'Europa, chi dovrà occuparsene?
È compito dell' Onu. Come ha detto Giorgia Meloni, finché c'è la guerra inviare truppe europee significa prender parte alla guerra e non è nostra intenzione farlo.
La Lega con tono perentorio ha ammonito che la premier non aveva il mandato per approvare il riarmo. Ha portato alla luce delle tensioni?
Anche qui starei ai fatti. Non mi pare che ci siano state divisioni nel governo.
Il riarmo, quindi, che fine fa?
Il riarmo non era all'ordine del giorno. Il Consiglio Ue ha accolto la proposta di Giorgia Meloni volta a predisporre un meccanismo di garanzie pubbliche europee, coordinato e integrato con i sistemi nazionali, sul modello del programma InvestEu, per mobilitare più efficacemente i capitali privati e rilanciare gli investimenti nel settore della difesa.
Anche Mario Draghi ha parlato di ingresso dei privati e di razionalizzazione.
Ogni anno gli europei investono circa 300 miliardi fuori dalla Ue. C'è, quindi, anche il tema di renderla più attrattiva per gli investimenti. E vale anche per la difesa.
Draghi ha anche parlato di una catena di comando unica per la difesa europea.
Ma un esercito europeo non c'è e non è in vista. Ciò di cui si parla è un maggiore coordinamento, un'ottimizzazione delle risorse della difesa.
Come giudica la marginalizzazione dell'ungherese Orban, con un'intesa a 26 che lo vede fuori? Un primo passo verso la cooperazione rafforzata, prevista dai Trattati ed evocata dallo stesso Draghi per aggirare i poteri di veto?
Non enfatizzerei. Orban non ha sottoscritto un singolo punto, quello sull'Ucraina, non è uscito dall'Unione.
Non proprio un punto marginale...
Sicuramente, ma sappiamo che Orban ha, legittimamente, una posizione sua. Non è una novità ed è fuori dalla maggioranza della Commissione. Sarei preoccupato di quel che pensiamo noi, più che di quello che pensano gli altri. Peraltro non fa parte della famiglia dei Conservatori. I comunisti non aderirono ai Trattati di Roma, ma si è andati avanti lo stesso.
Giorgia Meloni è forse l'unica leader in rapporti buoni, contemporaneamente, con Von der Leyen, con Trump e lo stesso Zelensky. Potrebbe rivestire un ruolo incisivo in questo scenario sempre più confuso?
Lo sta già facendo, chiedendo ed esercitando prudenza. Prendiamo i dazi. Lo sbilanciamento nell'interscambio di merci e servizi fra Ue e Usa è di soli 42 miliardi su un totale di 1,500. Non c'è ragione di minacciare ritorsioni, visto che la contesa è tutto sommato marginale, se si guarda al confronto il differenziale che gli Usa registrano, ad esempio, con Messico, Cina e Vietnam. E anche su questo la presidente della Bce, Lagarde, ha confermato la nostra linea, prospettando una riduzione del Pil europeo dello 0,3% con i dazi degli Usa, che arriverebbe allo 0.5% in caso di nostre ritorsioni. Lo scontro tutto sommato non conviene a nessuno.
Il tema Ventotene è arrivato fino a Bruxelles. Era proprio necessario tirar fuori questa polemica sul Manifesto?
Il ragionamento va ribaltato. Che ragione c'era di ritirarlo fuori dopo 84 anni, visto che l'Europa ha preso una piega del tutto diversa dalla dittatura del proletariato e dall'abolizione della proprietà privata? Non voleva essere un attacco a figure come quelle di Altero Spinelli, ma solo un rimarcare contenuti che per fortuna non sono passati. Piuttosto va fatta un'altra riflessione: è stato un errore grave non riconoscere il valore fondante delle radici giudaico-cristiane dell'Europa.
È stata un'arma di distrazione per mascherare le vostre divisioni?
Anche qui ribalterei. Noi abbiamo votato, senza grandi difficoltà, una mozione unica, mentre le opposizioni ne hanno votate cinque, tutte diverse. Mi pare che l'accusa possa essere fatta a loro.
(intervista di Angelo Picariello - Avvenire)