6 febbraio 2025
(intervista della Verità al Ministro Tommaso Foti)
Tommaso Foti è Ministro per gli Affari europei da ormai più di due mesi. Molti i dossier sul suo tavolo, dalla modifica del PNRR alla revisione degli accordi per le gare delle concessioni idroelettriche previste dal governo Draghi.
Ministro, sul tema dell'idroelettrico ritiene che sia il caso di invertire la rotta e tutelare gli interessi nazionali?
«Possiamo cercare di attivare una interlocuzione al fine di poter presentare la realtà dei fatti. Non è quella di voler eludere le gare ma far notare come attualmente saremmo l'unico Paese a mettere a gara le concessioni idroelettriche realizzando un'anomalia sostanziale. Da una parte le imprese italiane che hanno delle concessioni in capo vedrebbero arrivare la concorrenza di imprese da tutto il mondo, mentre dall'altra parte non potrebbero partecipare ad alcuna gara in Europa perché non se ne fanno».
Due pesi e due misure?
«In questo caso devo dire che la limitazione ce la siamo andati a cercare noi perché è chiaro che la milestone del PNRR relativa alla legge annuale della concorrenza 2021 poi valutata positivamente (ovviamente) dalla Commissione europea in occasione della terza rata, ha tra le sue componenti l'adozione di norme volte ad assicurare procedure competitive per l'assegnazione delle concessioni idroelettriche. Questo non possiamo addebitarlo a terzi».
La messa a gara è frutto delle decisioni del governo Draghi.
«Decisioni prese oltre che dal governo, anche da quell'ampia maggioranza che lo appoggiava. Questo perché, come è noto, la legge annuale sulla concorrenza è sottoposta al vaglio parlamentare. La strada quindi oggi è tutta in salita».
Secondo lei c'è margine per abolire le gare?
«Allo stato attuale sicuramente non si può pensare di partire con una norma legislativa se prima quantomeno non vi è stato un colloquio anche abbastanza approfondito con la Commissione europea, perché saremmo sicuramente nelle condizioni di poterci sentir dire che abbiamo approvato una norma in relazione a una rata che è stata liquidata comportandoci poi esattamente all'opposto. Questo è il problema, non di oggi, ma sono due anni che si presentano emendamenti per cambiare le norme ma in realtà, come detto, ci serve verificare in sede europea quella che è stata un'autolimitazione che ci siamo voluti dare, almeno per quanto riguarda la realtà degli altri Paesi europei. Eliminare l'obbligo delle gare comporterebbe per l'Italia il cosiddetto reversal, ossia il blocco del pagamento del PNRR e una sanzione che può arrivare fino a cinque volte il valore dell'obiettivo, in quanto si tratta di riforme».
Quindi ai tre emendamenti (Fi, Pd e Iv) che chiedono proroga, Fdi non si unirà.
«Sarebbe stato meglio, invece di presentare emendamenti per chiedere ulteriori proroghe, non votare quattro anni fa la legge che ci ha portato dove siamo».
Che si può fare?
«Non è che siccome il tempo è cambiato cambiano le cose, ora è il momento di affrontare il problema in sede europea. Non si può pensare che la scorciatoia possa essere un provvedimento legislativo. Serve invece cercare una strada di difficile negoziazione, che non è detto che sia di probabile successo. Bisogna cercare di trovare una possibilità quantomeno di diversificare gli impegni presi nell'articolo 7 della legge 2021. Questo è un impegno che mi sento di assumere e che in parte ho già assolto nel primo colloquio con i responsabili del PNRR».
Ha parlato di rivedere il PNRR, quali sono i tempi e quali i contenuti?
«Se avremo un quadro chiaro di se e come intervenire penso che per la fine di febbraio lo sottoporremo al Parlamento, perché ritengo sia quella la sede naturale per illustrare le possibili modifiche da portare poi all'attenzione della Commissione europea, perché naturalmente le modifiche che proponiamo non sono accettate di per sé. Le tematiche, per una questione di rispetto nei confronti del Parlamento, ovviamente non ritengo corretto annunciarle prima, ma voglio dire che non si tratterà di nulla di travolgente o impattante. Sono accorgimenti e miglioramenti necessari per poter mettere a terra il PNRR nel migliore dei modi possibile».
Si può intervenire con il PNRR anche sulla difesa?
«Il tema va anzitutto affrontato in sede tecnica prima che in sede politica. Perché ovviamente il PNRR ha delle sue finalità, dei suoi obiettivi e bisogna capire se la difesa possa rientrare tra gli obiettivi previsti dal regolamento. A quel punto sulla base di questo primo esame preliminare bisogna capire a che cosa ci si riferisce esattamente, perché penso possa essere quella la seconda fase. Allo stato attuale non ci sono proposte concrete da poter valutare».
Insomma siamo troppo indietro per parlarne seriamente.
«Non è tanto questione di serietà. Un conto sono le idee che possono tradursi in azioni, ma per farlo devono poter avere un dispiegamento tecnico che lo consenta. Poi la discussione politica una volta messo a terra il quadro della compatibilità tecnica sarà eventualmente esame di una seconda fase».
L'Europa, soprattutto se paragonata alla velocità decisionale di Donald Trump, appare totalmente inadeguata ad affrontare le sfide che ci attendono. Cosa si può fare per invertire la rotta?
«C'è un discrimine che riguarda il sistema. Quello degli Usa è più veloce rispetto a quello della maggior parte deli Stati europei, se non di tutti. E evidente che oggi Trump sta usando ordini presidenziali che danno un impatto anche mediatico diverso da quello che può dare una procedura parlamentare, pur avendo anche Trump una serie di passaggi da fare alla Camera o in Senato che permettano poi di tradurre o meno questi ordini in provvedimenti di legge. Poi è indubbio che l'Europa ha un problema di competitività. Questo è uno dei temi che deve essere inserito fra i due o tre pilastri del nuovo quadro di finanza pluriennale che la Ue deve mettere in cantiere. È chiaro che la velocità che ci viene imposta deve trovare un'UE competitiva che abbia un piano industriale e uno commerciale e che abbia la capacità di utilizzare la transizione verde con buonsenso. Se il Green deal anziché essere uno strumento per la qualità ambientale diventa uno strumento ideologico che prescinde dalla neutralità tecnologica, è evidente che apre le porte a un quadro preoccupante che ci porta alla deindustrializzazione europea».
(intervista di Flaminia Camilletti, La Verità)
concessioni idroelettriche