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"Europa bloccata dagli egoismi, tocca a noi guidare il rilancio"

25 settembre 2016

(Intervista della Stampa al Sottosegretario Sandro Gozi)


Sandro Gozi, sottosegretario alla Presidenza con delega all'Europa, non accredita la tesi di un grande freddo nei rapporti tra Stati fondatori, ma inquadra le intemerate del premier in una più ampia strategia di pungolo per il rilancio dell'Unione.

Ci spiega meglio l'avvertimento alla Germania «è finito il tempo degli egoismi»?
«La grande crisi dell'Europa è dovuta ad una diffidenza reciproca e ad un egoismo miope che ha portato a guardarsi l'ombellico e a non mettere cuore, testa e occhi sulle grandi questioni. Quindi bisogna avere un'Europa che alle parole deve far seguire i fatti. E vero che a parole l'Ue sembra volersi assumere delle responsabilità su immigrazione, sicurezza e investimenti per la crescita. Però troppo spesso mancano i fatti. Il mancato rispetto da parte di tanti paesi della ripartizione dei rifugiati politici è un esempio flagrante. Il concetto di solidarietà flessibile dei colleghi polacchi e ungheresi, poi, è una vera e propria contraddizione in termini. Questi sono gli egoismi da cui dobbiamo rifuggire».

A Ventotene sembrava esserci un buon clima, poi la rottura imprevista di Bratislava. Perché?
«Io non parlo di rottura, ma di un'Italia che si è assunta importanti responsabilità a livello europeo. Dopo Brexit, dobbiamo e vogliamo essere protagonisti del rilancio dell'Europa. Un processo però partito troppo lentamente a Bratislava. Il percorso che ci deve portare fino a Roma 2017 è come una maratona, ala fine della quale noi vogliamo proporre un nuovo patto
politico per l'Europa».

E quale sarà il contenuto di questo patto?
«Va definito nei prossimi mesi e richiede due cose: risposte immediate ai temi della crescita, a cominciare dal raddoppio del piano per gli investimenti, una nuova politica della sicurezza con la polizia delle frontiere esterne, aumentare le risorse per la cultura e le politiche giovanili. Abbiamo bisogno subito di risposte concrete di questo tipo e di tornare a essere ambiziosi: perché l'Ue ha bisogno sia di concretezza che di nuova visione politica. Il livello dell'ambizione lo vedremo nei prossimi mesi: certo dobbiamo uscire allo status quo che soprattutto dopo la Brexit è l'inizio della disintegrazione europea».

Questa dinamica conflittuale fa gioco anche in termini di consenso anche in vista del referendum?
«Questo non lo so e non è questo il punto. Certo l'Italia si assume il peso di essere uno dei paesi che spinge di più per svegliare l'Europa e mantenere alto il livello di ambizione. Non possiamo invitare i leader a marzo a Roma per avere un documento modesto che non risponde alle aspettative e alle paure dei cittadini».

Non rischia di essere un azzardo il corpo a corpo con l'Ue vista la trattativa delicata che si deve compiere con Bruxelles?
«Non vedo un atteggiamento conflittuale, ma molto senso dell'urgenza per dare una scossa all'Europa. Questo va distinto dalla trattativa sullo zero virgola un per cento in più. La portata della partita è molto più ampia di una legge di bilancio che si risolverà a ottobre. Qui ci giochiamo il futuro di un intero continente e le due cose non sono legate. In un periodo in cui lo stesso Juncker parla di crisi esistenziale dell'Europa e tutti si preoccupano che un domani l'Unione non ci sia più, chi se non l'Italia di Ciampi e Spinelli deve aprire un dibattito politico forte?».
Carlo Bertini

Roma 2017 , brexit
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