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Ma c'è anche un' altra Europa

12 aprile 2016

(articolo sull'Unità del Sottosegretario Gozi)

C'è un'Europa che non si arrende, che lotta e continua a costruire un domani migliore. Questa Europa è a Elaionas, in Grecia: sabato ero lì, insieme ai ministri degli Affari europei di Francia, Paesi Bassi, Slovacchia, Malta e Portogallo. Una visita fortemente voluta, per vedere di persona come funzionano i centri di accoglienza a pochi giorni dal via dell'accordo Ue-Turchia, e per dare il nostro sostegno al Primo Ministro Alexis Tsipras.

Dobbiamo rapidamente superare l'emergenza e l'improvvisazione di Idomeni e riprendere finalmente il controllo. Le immagini giunte dal nord della Grecia sono terribili. L'organizzazione di Elaionas al contrario dimostra che un'altra via è possibile.

A Elaionas, dove arrivano i disperati in fuga dalla Siria, l'Europa dimostra che può rispondere coni i fatti e i risultati alle crisi che l'attraversano. L'accordo con la Turchia è un punto di equilibrio, non un punto d'arrivo: è tanto complesso quanto necessario. Si tratta di un primo e fondamentale passo di ciò che abbiamo sempre chiesto: la gestione comune dei flussi migratori, gli ingressi legali per chi ha diritto, la lotta contro i trafficanti di essere umani che speculano in modo disumano sui drammi di tante famiglie. Siamo andati in Grecia per dimostrare che non accettiamo l'Unione degli egoismi e delle indifferenze: al contrario, mentre i populisti alzano il volume delle parole, noi rispondiamo con i fatti. Siamo andati in Grecia perché quella è la «nostra frontiera» e perché i diritti fondamentali di tante persone che scappano dai barbari dell'Isis sono i «nostri diritti».

Quella migratoria è una delle grandi crisi che attraversano l'Europa. Non l'unica, se pensiamo alla paura del terrorismo e all'incertezza l'Europa non sempre ha risposto con determinazione o rapidità. Questo ha creato timore tra i nostri cittadini, e ha alimentato il fuoco dei populisti euroscettici. Di tutti coloro che ci accusano di non fare nulla, e che propongono soluzioni chiuse dentro le gabbie dei confini nazionali. In questa "non Europa" ritornano demoni che pensavamo di avere cacciato per sempre: la xenofobia, l'antisemitismo, e varie forme di bieco nazionalismo. La realtà è un'altra. La "nostra Europa", invece, vuole e deve assolutamente recuperare il tempo perduto e i valori dimenticati. Il tempo, prima di tutto: quello dei tanti vertici inconcludenti, delle infinite trattative e dei labirinti burocratici. Ma soprattutto, i valori.

Il governo italiano su questo ha le idee chiare: l'Europa di fronte a queste crisi ha la formidabile occasione di diventare sé stessa: l'Europa delle libertà, dell'eguaglianza, e naturalmente della solidarietà. Se non riscopriamo la forza della solidarietà, quella che ci permette di essere una comunità politica e non solo un grande spazio di libero scambio, non avremo mai la capacità di rispondere alle crisi che attraversano l'Unione. È il grande compito che abbiamo oggi: perché "l'Europa reale" è ancora molto, troppo, diversa da quella che abbiamo solennemente promesso nella sua ultima riforma costituzionale, avvenuta col trattato Lisbona.

La nostra priorità assoluta è riconquistare la fiducia dei cittadini prima che si rompa il patto con le istituzioni europee. Non possiamo lasciarci travolgere dal continuo richiamo all'urgenza, dobbiamo pensare a onde lunghe. Anche la crisi finanziaria non è del tutto finita, anche se qualche segno positivo viene dall'economia reale. Dobbiamo riportare l'asse sulla crescita e sul principio fondante dell'Unione che è la coesione economica, sociale, territoriale. Ricompattare le classi sociali e i territori: questo il messaggio che dobbiamo lanciare soprattutto ai giovani per ridare loro la speranza nell'avvenire.

Se non lo facciamo, il rischio che l'Unione europea si disintegri è concreto. Abbiamo negoziato un onorevole pacchetto per dare argomenti al governo britannico nel prossime referendum. L'esito è appeso al filo dei sondaggi. Confidiamo che l'impegno delle forze politiche europeiste e dell'opinione pubblica più aperta abbia ragione delle diffidenze e confermi una costante della politica britannica: lo stare dentro l'Europa, pur con riaffermare specificità del caso. Ma dopo il referendum, dobbiamo rilanciare il processo di integrazione e andare verso quell'Unione sempre più stretta che abbiamo voluto riafferare proprio in quell'accordo.

Ecco perché ieri, dopo Atene, eravamo a Roma, alla Camera dei Deputati. Perché la storia dell'Unione è nata a Roma, con i Trattati del 1957, di cui celebreremo il sessantesimo anniversario nel 2017. Ma Roma 2017 dovrà essere un nuovo grande obiettivo europeo: per questo abbiamo proposto innanzitutto al trio delle presidenze di avviare un dibattito ora, per preparare al meglio quell'evento. Uscire dallo status quo e rilanciare il processo politico europeo è il modo migliore di celebrare questi 60 anni di vita comune. Un dibattito, come quello di ieri, ripetibile e replicabile in tutti i Ventotto Stati Membri, che deve essere transnazionale ed inclusivo, che dovrà coinvolgere quanti più attori possibili. Occorre agire ora, con efficacia per uscire dalla dittatura dell'urgenza e discutere ora, con franchezza, per costruire una nuova Unione.

E allora: facciamolo con tutti cittadini europei che lo vorranno. Coinvolgiamoli, invitiamoli a discutere di quel che non funziona in Europa, chiediamo nelle scuole ai nostri ragazzi cosa scriverebbero oggi nel "loro" trattato di Roma. E troviamo insieme soluzioni per cambiare l'Unione. Il Presidente Renzi ha sostenuto fin dall'inizio del suo mandato la fortissima necessità di assicurare un nuovo slancio all'Europa, approfittando dell'avvio di un nuovo ciclo politico istituzionale nel 2014. Abbiamo ottenuto dei risultati, ma parliamoci chiaro, dobbiamo fare molto di più. Nella Roma che domenica ha celebrato la sua maratona, iniziamone un'altra fino a toccare il cuore di Bruxelles, oggi brutalizzata dai barbari islamisti. E con esso, quello dell'Europa che vogliamo.
Sandro Gozi

Roma 2017 , migrazioni , Turchia
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